Il vescovo Zenti: con Mons. Faè Montaner ha vissuto un’epopea.
LA FESTA
Un pomeriggio assolato ha accolto oltre mille persone festanti alla cerimonia di inaugurazione del complesso monumentale dedicato alla memoria di Mons. Giuseppe Faè ed alla sorella Giovanna, avvenuta a Montaner domenica 26 giugno 2005.
La cerimonia ha avuto un prologo, dalle 16,00 alle 17,00, durante il quale una delegazione di tutti i gruppi alpini della sezione di Vittorio Veneto e delle altre associazioni combattentistiche e d’arma, presenti con i rispettivi vessilli e gagliardetti, si è recata presso il sacello di Santa Barbara per l’alzabandiera e la deposizione di un mazzo di fiori in ricordo di tutti i caduti. I due momenti sono stati accompagnati dalle note de “Il Piave” e il “Silenzio d’ordinanza” suonate dalla Filarmonica coneglianese, diretta dal maestro Massimiliano Dal Mas, che ha allietato la giornata anche con marce e musiche popolari del proprio repertorio .
Durante i festeggiamenti è stato possibile visitare la mostra allestita presso la saletta parrocchiale adiacente la canonica e firmare il registro delle presenze predisposto per l’occasione. All’esterno, su un banchetto, era inoltre disponibile un prezioso opuscolo di 40 pagine contenente alcune testimonianze sull’opera dei due fratelli Faè. Tutti hanno potuto trovare ristoro e sollievo alla canicola incombente presso lo stand gastronomico a base di prodotti tipici della tradizione rurale locale, allestito in un tendone nel vicino campetto sportivo e curato con generosità dagli uomini e dalle donne del gruppo alpini di Montaner. Particolarmente gradite anche le dissetanti fette di fresca anguria. L’afflusso delle autorità e di tutti i presenti è stato disciplinato dal gruppo della protezione civile alpina di Vittorio Veneto, coordinato dal sig. Ennio Da Re, che si è adoperato anche a far rispettare il divieto di transito, imposto con ordinanza sindacale, lungo il tratto di strada interessato dalla cerimonia che per la circostanza è stato addobbato con festoni e bandierine colorate.
Sul palco, montato quasi nella stessa posizione di quello che venne allestito per i festeggiamenti del 21 novembre 1927, in occasione della nomina a parroco di Montaner di don Giuseppe Faè, ha trovato posto anche una delegazione della locale comunità ortodossa che, unitamente alle suore di quel monastero, ha accettato l’invito del parroco. L’evento ha segnato l’avvenuta riconciliazione, sia pur nel rispetto delle diversità, con quella parte dei paesani che quasi quarant’anni fa scelse di abbracciare la religione cristiana ortodossa, di fronte al motivato rifiuto dell’allora vescovo della diocesi di Vittorio Veneto Mons. Albino Luciani di lasciare alla guida della parrocchia il cappellano di Mons. Giuseppe Faè, alla morte di quest’ultimo.
GLI INTERVENTI
Dalle ore 17,00 si sono susseguiti i vari interventi. Il parroco di Montaner, don Adriano Zanette, ed il sindaco di Sarmede, Eddi Canzian, hanno formulato le proprie espressioni di saluto religiose e civili. L’attuale successore di Don Faè ha voluto ricordare i suoi primi contatti, da bambino, con quel “grande” prete, entrambi ambientati nel bosco del Consiglio, il primo avvenuto nel 1953 in località Crosetta, il secondo nel 1956 presso la chiesetta del Camp di Cadolten, in occasione dei quali poté dapprima assistere e poi servire la messa celebrata dal suo predecessore. Quindi, dopo aver ringraziato della collaborazione i sacerdoti, anche quelli assenti per motivi di salute, si è soffermato sul consenso che l’iniziativa ha suscitato tra la popolazione che ha riconosciuto ai due fratelli Faè un contributo storico, quasi potestativo, per la costruzione di una identità cristiana tra la gente di Montaner.
Il sindaco, rivolgendo il proprio pensiero ai due illustri e compianti concittadini, ha detto che essi hanno impresso un’impronta indelebile nella storia della comunità. Quindi, dopo aver ripercorso le tappe di un apostolato svolto tra gente povera, costretta ad emigrare, ma dignitosa, ha esaltato le virtù non solo spirituali di Mons. Faè, ricordando che spesso egli si sostituiva alle autorità civili dell’epoca poiché era fermamente determinato a promuovere il riscatto sociale ed economico del paese. Grazie a lui fu infatti costruito l’asilo sul Col de Bucari, furono attivati il servizio postale, la linea telefonica, il servizio di autocorriere per collegare la frazione collinare alla cittadina di Vittorio Veneto. Furono anche accolti per un periodo alcuni orfanelli delle alluvioni del Polesine. Montaner d’Italia, come amava chiamarlo lui, era entrato profondamente nel suo cuore e Montaner doveva tutto a quest’uomo, tanto che la sua dipartita avvenuta nel ‘66, aveva lasciato un vuoto profondo, una nave senza timone, in balia del mare in tempesta. Il sindaco ha elogiato tutti coloro che hanno contribuito alla realizzazione dell’opera, citando in particolare l’impegno e la determinazione profusi dai coniugi Dazzi Caterina e Zanette Gregorio.
Il senatore Favaro, trevisano di Riese Pio X, raccogliendo la testimonianza del sindaco di Fregona, ha riferito che a Mons. Faè piaceva parlare il dialetto anche per rafforzare il sentimento di appartenenza alla comunità di Montaner. Ha quindi apprezzato la realizzazione del monumento perché attraverso la sua visione potranno essere ricordate alle generazioni future due personaggi importanti per la storia di Montaner in grado di trasmettere autentici valori di onestà, laboriosità e solidarietà.
“Burbero benefico” è l’appellativo che il presidente della Sezione Alpini di Vittorio Veneto, Dino Salamon, ha voluto attribuire alla figura di Mons. Giuseppe Faè, cappellano militare nella I guerra mondiale e Capitano degli Alpini, già iscritto alla sezione di Vittorio Veneto a partire dal 9 giugno 1930. Ecco perché era doveroso da parte della loro associazione essere presenti così numerosi a tale importante evento. L’intervento si è concluso con l’auspicio che la costruenda sede delle penne nere di Montaner, pensata anche quale punto di aggregazione sociale, possa essere intitolata alla memoria del sacerdote combattente.
Grande entusiasmo e profonda commozione hanno accompagnato l’allocuzione del Cav.Uff. Costalongo Antonio, presidente della sezione Vittoriese dell’A.N.P.I. (l’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia), che ha definito i fratelli Faè come due personaggi straordinari che con immensa generosità, encomiabile coraggio e paziente carità hanno influenzato il corso degli eventi nella comunità di Montaner. Quando scoppiò la seconda guerra mondiale, ha ricordato Costalonga, la canonica divenne sicuro rifugio di molti giovani sbandati che rifiutarono di combattere per una guerra non sentita, inviati dagli stessi preti delle parrocchie della diocesi, ben consapevoli della carità dei fratelli Faè, ed anche della felice posizione geografica che aveva il paese di Montaner, vicino al bosco del Cansiglio. Quei giovani vennero giornalmente sfamati e vestiti dalla povera Giovanna, mentre il fratello Giuseppe li educò ai valori della resistenza, della libertà e della giustizia, forgiando le loro coscienze. In questa loro operosa attività accolsero benevolmente anche due uomini che si rivelarono poi due spie e portarono, nel pomeriggio del 26 marzo 1944, all’arresto dei due fratelli Faè e alla loro condanna di morte da parte del tribunale germanico di Udine. Don Giuseppe fu però graziato per l’intervento della Curia e costretto a vivere nel seminario di Vittorio Veneto, a disposizione del vescovo fino alla liberazione, quando poté rientrare fra la sua gente. La sorella invece non fece più ritorno dai campi di concentramento, dove venne deportata.
Il presidente della banca Prealpi, sig. Luigi De Martin, ha voluto accostare alcune virtù di Mons. Faè con l’opera di solidarietà e di incentivo allo sviluppo culturale da sempre promossa dall’istituto di credito presente anche a Montaner con una filiale.
Vittorino Pianca, direttore del Sistema bibliotecario del Vittoriose, originario di Montaner ha esordito cercando di dare una risposta alle motivazioni di un così profondo legame tra Mons. Faè ed i suoi parrocchiani. La risposta, ha detto, è contenuta nei suoi insegnamenti sulla Verità, la verità di una Fede sincera che non ha bisogno di fronzoli per essere creduta, nel coraggio delle proprie azioni, nella memoria dei monumenti da lui voluti numerosi, anche come metodo per trasmettere il coraggio della propria identità. I monumenti, ha continuato Pianca, sono la bibbia dei poveri. Montaner, grazie a lui poteva così vantare una banca, una biblioteca ed una cooperativa di consumo. Alla faccia di chi diceva che Montaner fosse una landa sperduta come la Siberia. Poi nel definirlo un olfattivo musicale di una grande orchestra, ha spiegato che quando gli fu regalato l’organo in occasione del 50° anniversario dell’ordinazione a sacerdote, voleva che fosse suonato il ripieno. Un suono forte come la sua personalità. Chi suona forte a volte va sopra le righe e può anche stonare e lui lo sapeva; così, pentito, si ritirava in preghiera per chiedere scusa “parchè incoi son ‘ndat fora sciap 4 olte”. Lui parlava in dialetto per raggiungere il cuore della gente ed era esempio di povertà. Ciò che riceveva donava. Alla morte nulla di valore veniale gli era rimasto. Pianca ha quindi concluso con il segno della croce insegnatogli dal monsignore, ossia: “testa dritta, cuore a posto, buone spalle e così sia”.
Don Marco Pizzol, parroco di Codognè, nato e cresciuto a Montaner, ha detto di aver trascorso le sue vacanze estive dal 1945, per quasi quarant’anni, nella canonica e di aver dormito nella camera attigua a quella di Mons. Faè. Così ebbe modo di sentire questo prete invocare di notte “Giovanna, Giovanna”, la sorella che rappresentava la sua spina dorsale, colei che con discrezione ed autorevolezza sapeva tenerlo a freno, quasi fosse un cavallo brado. Grande uomo e grande prete, che celebrava la messa agli altari laterali, vicino alla sua gente. Vicinanza testimoniata anche quando la domenica si recava nel bosco del Cansiglio, percorrendo a piedi 15 – 25 km in salita, per celebrare la messa alla Crosetta o al Camp di Cadolten. La popolazione del paese infatti, soprattutto d’estate, trovava sostentamento nelle attività silvo pastorali praticate nella sovrastante località montana. Un grande prete, che amava soffermarsi tra i fedeli alla messa, in una chiesa stracolma, chiedendo loro notizie dei parenti lontani all’estero, emigranti, minatori e alla cui protettrice santa Barbara aveva dedicato la realizzazione di una statua prima e di un sacello poi. Don Marco ha concluso affermando di essere felice quando qualcuno di tanto in tanto gli fa notare come la sua immagine assomigli a quella di Mons. Faè.
Lo scultore Antonio Bottegal ha quindi illustrato brevemente le fasi di realizzazione dell’opera scultorea, la cui esecuzione è stata aiutata dai consigli del comitato organizzatore che in tre circostanze si è recato presso il suo laboratorio di Feltre per suggerire l’espressione arguta e bonaria che doveva caratterizzare la scultura. Un cenno anche del sasso posto a fianco del prete sul quale è stato scolpito in bassorilievo il volto della sorella, attorniata dal filo spinato, simbolo della prigionia.
I sindaci di Gaiarine e di Tarzo, dott. Loris Sonego e sig. Giuseppe Dal Mas, hanno brevemente riportato le testimonianze di alcuni loro concittadini sulla figura di Mons. Faè. Il sindaco di Gaiarine, nel territorio del quale si trova la frazione di Campomolino, dove nacque Mons. Faè, si è chiesto come fosse possibile che a quasi quarant’anni dalla morte di questo prete, la popolazione lo volesse ricordare dedicandogli un monumento. Un testimone gli avrebbe riferito come lui fosse un prete unico che amasse parlare in dialetto e gesticolare tra la gente. Il sindaco di Tarzo ha ricordato che don Faè resse la parrocchia della frazione di Corbanese a cavallo della prima guerra mondiale. In un periodo attraversato da estrema povertà Egli non temeva di chiedere ai ricchi per dare ai poveri e grazie alla sua incessante opera fu possibile inaugurare nel 1919 un orfanotrofio dedicato a Sant’Antonio presso il quale molti trovarono asilo anche solo per un pezzo di pane.
Nell’intervento conclusivo prima della benedizione dell’opera, il vescovo, Mons. Giuseppe Zenti, con tono altisonante, parlando a braccio, ha detto che la comunità di Montaner ha vissuto l’epopea Faè, ossia un periodo storico contraddistinto dal coinvolgimento della popolazione attorno alla sua guida per costruire una nuova realtà. Un uomo di fede che non isolava nessuno e si immergeva nella gente, senza timore di scendere in pianura per chiedere un pezzo di pane . Le sue spoglie giacciono da quasi quarant’anni nel cimitero del paese. Il vescovo quindi ha dichiarato di essersi fermato più di qualche volta davanti alla sua tomba per pregarlo. Ha auspicato infine che l’immagine dei due fratelli costituisca uno stimolo per trasmettere la saggezza di un popolo alle nuove generazioni, affinché esse si sentano coinvolte in una nuova epopea, veramente partecipi alla realizzazione del loro destino fatto di fede e verità.
LA BENEDIZIONE
La benedizione del complesso monumentale è stata preceduta dalla rimozione del drappo ad opera di due ex combattenti della 2^ Guerra mondiale, i sig.ri Zanette Gregorio e Pizzol Renato. Durante la benedizione alcune gocce di pioggia sono cadute dal cielo. Una sincronia che ha impressionato molti dei presenti. Anche dal Vaticano sono pervenuti voti augurali per l’iniziativa, attraverso una lettera a firma del Segretario di Stato cardinale Sodano, letta nell’occasione da don Adriano Zanette.
A questo punto i bambini della scuola materna parrocchiale “S. Giovanni Bosco”, sorta per volontà di Mons. Giuseppe Faè nei primi anni quaranta dello scorso secolo, e che ora ospita il nido integrato “Maria Bambina”, dopo aver lasciato ciascuno una rosa rossa alla base del monumento, hanno cantato una canzone con tenerezza, rendendo ancor più festoso quel momento.
Anche se le luci della ribalta si sono spente al tramonto, la speranza auspicata da molti è che l’evento di quel giorno possa costituire un trampolino di lancio per ulteriori iniziative di utilità sociale nel ricordo delle virtù dei fratelli Faè.
Fabrizio Salvador